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Il capitale (Karl Marx)

by Laura C.

Il Capitale” rappresenta una delle pubblicazioni più conosciute di Carl Marx, filosofo ed economista tedesco che con questa opera si pose l’obiettivo di evidenziare i meccanismi strutturali della società borghese e, individuare la legge economica del movimento di quella moderna.

Da lui venne pubblicato direttamente solo il primo volume (che egli stesso considerò una sorta di seguito de “Per la critica dell’economia politica” pubblicato nel 1859). Gli altri uscirono postumi per merito di Engels.

La società presa in considerazione come esempio tipico è l’Inghilterra.

E’ proprio qui, che all’epoca si collocava la “sede classica” del luogo in cui trovare una corrispondenza tra il modo capitalistico di produzione, i rapporti di produzione e di scambio. Rivolgendo la propria attenzione ai lettori tedeschi che in qualche modo avrebbero potuto lagnarsi della scelta poiché ancora lontani dalle condizioni del paese in oggetto di studio, Marx, si limitava a commentare con un: “De te fabula narratur!”.

Nei paesi maggiormente sviluppati si potrà infatti anticipatamente vedere quello che sarà l’avvenire di chi si appresta a raggiungere un altrettanto elevato grado di sviluppo.

Aperto a ogni critica scientifica, Marx si mostra restio invece ad accogliere le parole di chi si esprime facendosi guidare dai pregiudizi (come nel caso dell’opinione pubblica), facendo suo in questo caso un detto fiorentino: “Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!”.

Quando Engels si trovò a raccogliere l’eredità di Marx e pubblicare i volumi successivi al primo, dovette affrontare molti problemi.

Solo una minima parte era già stata preparata per la stampa. Anche quella parte, per lo scorrere del tempo, era invecchiata e “sporcata” da aggiunte e annotazioni successive. Nonostante Engels conoscesse Marx e il suo linguaggio, il suo modo di esprimersi, era arduo il compito di riuscire a trasformare gli scritti dell’autore caratterizzati dal linguaggio che esso soleva utilizzare per i suoi appunti privati. Era un linguaggio familiare, dallo stile trascurato, con intramezzi umoristici, frasi in lingue diverse e talvolta troncate a metà.

La malattia che Marx dovette affrontare nel corso della stesura dell’opera si rifletteva talvolta nei passaggi e annotazioni. Ciò rendeva estremamente complesso il lavoro di presentazione dell’opera, che presentava nei manoscritti lacune e frammentazioni.

Come se non bastasse, a Engels spettò il compito di difendere Karl dall’accusa di plagio. Secondo alcuni detrattori, avrebbe infatti copiato Rodbertus il quale, da parte sua, non mancò di citare in alcune sue opere Marx, accusandolo di aver utilizzato le sue teorie senza citarlo.

I 3 assunti

Parlando ora della vera e propria teoria che sostiene l’opera, la prima cosa da evidenziare è che in contrapposizione all’economia classica e alla metodologia del tempo, si fa portatrice di 3 assunti:

  1. non esistono leggi universali dell’economia e ogni formazione sociale ha leggi storiche e caratteri specifici;
  2. la società borghese porta in sé contraddizioni strutturali che minano la sua esistenza;
  3. l’economia deve utilizzare lo schema dialettico della totalità organica hegeliano studiando il capitalismo come struttura formata da elementi tra loro connessi.

Studiare gli elementi di fondo e astrarre quelli secondari permette così di evidenziare tendenze e caratteristiche strutturali ponendo le basi per fare delle previsioni (che non devono essere confuse con le profezie). Su questo presupposto “Il Capitale” venne così letto e interpretato negli anni a venire dalla classe operaia, ma anche dai critici di Marx.

La merce ne “Il Capitale”

La prima parte del Capitale è dedicata all’analisi della “merce“.

Prima caratteristica della merce è quella di avere un’utilità, un valore d’uso. Nessuno si sogna di comprare cose di cui non ha necessità (all’epoca, forse) e che non soddisfino bisogni. Allo stesso modo, la merce deve avere un valore di scambio per poter essere scambiata con altre merci.

Il valore di scambio si stabilisce, in Marx, come del resto negli economisti classici, risolvendo l’equazione valore=lavoro.

Ciò significa legarlo alla quantità di lavoro socialmente necessario (in riferimento alla produttività sociale media riferita a un periodo storico, ovvero oggi ciò che vale x, in seguito a mutamenti della produttività domani potrà valere y) per produrla.

Più lavoro è necessario per produrre e più valore acquisterà la merce.

Il valore non deve però essere confuso con il prezzo, il quale da parte sua è influenzato dalla scarsità o abbondanza di una merce. Ciò causa variazioni del suo prezzo reale.

In condizioni normali tuttavia nel prezzo di una merce dovrebbe esserci equivalenza tra la somma dei prezzi delle merci, e il suo valore (somma del lavoro).

Nel capitalismo, la finalità della produzione non è il consumo, ma l’accumulazione e conseguentemente non merce-denaro-merce (M.D.M) ma bensì denaro-merce-più denaro (D.M.D’). In tutto ciò, il capitalista investe del denaro nelle merci per ottenere più denaro. Più denaro equivale a plusvalore (più valore: D’) non proveniente dal denaro (che è mezzo di scambio) né dallo scambio, ma bensì dalla produzione capitalistica.

Il capitalista può comprare e utilizzare una merce molto particolare che produce valore: l’operaio, una merce umana.

Pagando infatti la sua forza-lavoro come una merce, attribuendogli un valore in base alla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla, si genera il salario.

Il plusvalore

L’operaio diviene quindi produttore di plusvalore, avente la capacità di produrre un valore superiore a quello che gli viene corrisposto. Se lavora 10 ore al giorno e produce un valore di 10, il capitalista non può corrispondergli 10, altrimenti non resterebbe nulla per lui. Ecco perché deve, gioco-forza accadere che l’operaio percepisca un guadagno inferiore (es. 5 o 6) e il resto rimanga nelle mani del datore che si intasca perciò il plus-valore .

Se così non fosse il capitalista non avrebbe nessun guadagno. O no?

Così si può affermare che il plus-valore è prodotto dall’operaio ed è l’insieme del valore regalato al capitalista. Il capitalista può, avendo a disposizione i mezzi di produzione, utilizzare l’operaio che dispone di un’energia lavorativa (ma non mezzi di produzione).

Non tutto il plus-valore si trasforma tuttavia in profitto poiché parte deve essere utilizzato per l’acquisto di materie prime, macchinari. Di conseguenza, il profitto deriverà dal rapporto tra il plus-valore e la somma di capitale variabile (capitale mobile investito in salari) e capitale costante (quello investito per esempio nei macchinari).

Il capitalista opera quindi secondo Marx per il suo profitto personale, e non nell’interesse della collettività.

“Il Capitale” va detto che è molto più di un semplice libro di politica o filosofia.

E’ un libro controverso, discusso, preso e lasciato nel tempo da varie fazioni politiche.

E’ un libro che ha fatto e tutt’ora fa discutere. Esamina problematiche tragicamente d’attualità che in un paese civile non dovrebbero esistere ma, rapportati alle realtà di paesi sfruttatori di innocenti, la fanno tutt’ora da padrone.

E’ noto infatti come molti grandi produttori cerchino di aggirare la legislazione dei paesi pur di avvalersi di una forza lavoro poco costosa, ma molto redditizia.

Marx è abilissimo e perfettamente a suo agio nel raccontare le leggi del tempo. Sa narrare i modi in cui i capitalisti riuscivano ad aggirarle, la compiacenza dei governi, le limitazioni delle teorie passate.

E’ altrettanto bravo ad appassionare il lettore alle vicende di uomini, donne e bambini sfruttati e considerati al pari di oggetti, animali da lavoro. Erano una forza-lavoro da preservare, in alcuni decreti del tempo, al solo fine di non far mancare braccia per produrre.

E’ una lettura non complicata ma a tratti “pesante” che deve essere affrontata senza pregiudizi ma soprattutto, solo se dispone di molto, molto, molto tempo, perché è veramente lunga!

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